L’aria acerba di marzo ricopriva con un bacio umido le strade del centro, il sole aveva una luce tagliente, un riflesso abbagliante sul ciottolato rendeva i miei passi incerti. Era il classico bluff primaverile, un tepore improvviso che poi ripiegava su se stesso, l’inverno sembrava ritrarsi come un’onda e, allo stesso modo, poi, si sarebbe nuovamente abbattuto sulla città, soffocando tutto in una morsa insopportabile dopo quel primo assaggio di primavera.
Raggiunsi la piazza in cui si sarebbe tenuta la fiera del libro per curiosare un po’ in giro e dare un’occhiata allo stand della casa editrice con la quale avevo pubblicato il mio libro, ma quando arrivai, trovai tutto chiuso e decisi di entrare nel primo caffè che mi capitò davanti per ingannare il tempo durante la mezz’ora che mancava all’orario di apertura.
Non c’era quasi nessuno in quella domenica assonnata, solo una donna, immersa nella lettura di un vecchio libro dalla copertina rossa, consunta dal tempo. Sedeva in un angolo in fondo al locale e gocce di sole l’avvolgevano in un tenue chiaroscuro dai colori morbidi e luminosi.
Ordinai un caffè e andai a sedermi al tavolo accanto al suo, trovando una strana familiarità nel suo volto e nei lunghi capelli ramati che morbidamente si adagiavano sul nudo candore delle sue spalle. Ero certo di averla già vista, forse a qualche fiera del libro, così cominciai a spiare i suoi lineamenti, cercando di incrociare il suo sguardo per avere una conferma, ma lei continuava a fissare le pagine ingiallite del suo libro senza accorgersi di me.
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